Festa dello sfruttamento

E' appena finito il primo maggio, definito ormai non festa dei lavoratori ma del lavoro, vale a dire dello sfruttamento
Nel 1990 un film girato a Napoli, "C'è posto per tutti", tratta di temi ben diversi dall'omonima pellicola di hollywood. Il lavoro di Giacomo Planta è molto acuto e, forse, il primo sulla condizione di precariato, i giovani del sud la vivevano già prima che venisse sancita per legge e imposta a tutto il paese. "C'è posto per tutti" racconta le peripezie di alcuni giovani disoccupati napoletani che troveranno lavoro solo il primo maggio, proprio per smontare il palco del comizio sindacale.
C'è chi, come il nostro dittatore (ormai prossimo alla caduta per mano del suo stesso entourage, altro che la sinistra) ama chiamare la legge sul precariato "legge Biagi". Ma quelle sciagurate misure furono già adottate sotto Prodi col noto "pacchetto Treu", che introdusse il lavoro interinale, abrogando così la sacrosanta legge che lo proibiva, la n. 1369 del 1960 ("Divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro"). La "Biagi", la legge 30 (firmatario l'allora ministro del Lavoro, l'ominicchio dal morso facile Maroni) ha solo dato la stura finale ai diritti dei lavoratori, trasformando il co.co.co in co.pro (sempre merda), ribattezzando il lavoro interinale in "somministrazione di lavoro" (come fosse un antibiotico), introducendo il modello di schiavismo delle cooperative come regola sotto nomi pittoreschi, autorizzando infine le agenzie di sfruttamento a potersi occupare anche di personale assistenziale e sanitario. E questo forse è il male minore, e cioè che una giovane laureata, dietro al tavolo di uno di questi negozietti tristissimi, si ritrovi a dover assumere un medico, un assistente sociale o un ausiliario, senza sapere nulla di medicina e di assistenza; piuttosto, la gravità sta nella correità dei sindacati con i Responsabili della miseria che viviamo. Così, l'unione sindacale esiste solo sul palco di San Giovanni; il primo maggio diventa in quel concerto una fricchettonata, mentre in altre situazioni giunge ai livelli del rave (il May-Day). In entrambe le "feste" proprio chi monta il palco, luci e impianti, o chi guida gli inquinantissimi tir al may-day, viene stipendiato. Festa del lavoro, dunque. E dei sindacati, che ormai non hanno più ruoli maxime nella vita di chi ha da 40 anni in giù. La Fiom, nella sua purezza, sembra addirittura dover lottare con la casa-madre, la Cgil. Il sindacalismo di base invece si scioglie nel protagonismo di sigle, capetti e residuati vari. Un po' come se i congiurati che devono accoltellare Cesare finissero col mancarlo e colpirsi a vicenda.
Sono sempre meno le categorie che possono scioperare. Quasi tutti gli stranieri, tutti noi precari, i giovani, noi non più giovani (praticamente, tre lavoratori su quattro), non abbiamo più diritti. Niente malattia, niente sciopero, la 626 (o legge 81) solo sulla carta, la pensione fantascienza, il precariato eletto a condizione esistenziale. Con buona pace dei sindacati e della politica progressista, che hanno scavato la fossa ai lavoratori, a partire dall'abolizione della compianta "scala mobile".
Quando negli anni '90 iniziai a barcamenarmi tra co.co.co, cooperative, nero e poi  da interinale, pensavo che tutto ciò sarebbe stato provvisorio, che prima o poi avrei avuto un lavoro stabile, che mi sarei potuto trovare una casetta. Chi parla di bamboccioni meriterebbe di lavorare in un call-center per 10 ore di fila al giorno. Anche chi ha un lavoro stabile rischia la precarietà, vedendone agitato lo spettro nei ricatti padronali e negli incubi personali: qualche bella idea alla boia Marchionne, il pirletta di turno - alla Tvemonti - la tira sempre fuori...
Il potere dovrebbe finirla con l'invocare le Brigate Rosse: anche se molti le sognano, siamo tutti troppo presi ad arrangiarci, a sopravvivere. Le Br sono morte e nessuno potrà più riesumarle, mentre ben altri terrorismi prosperano (servizi segreti, mafia, politici piccciotti...)
Molti a sinistra storsero il naso quando qualcuno cominciò a protestare salendo su un tetto, dimenticando che quella era stata la forma di lotta tipica degli "invisibili", cioè dei carcerati. Ma era il modo di dire che si è sospinti al suicidio dalle istituzioni, che tagliano fondi, non fanno politiche sociali, premiano il crimine organizzato e, mentre declamano la virtuosità del proprio operato, lasciano il treno del paese andare a schiantarsi contro un frecciarossa. Il futuro è già morto e forse soltanto una lotta continua, dura e senza ipocrisie potrà salvarci. Anche se ho la sensazione che aveva visto bene Sade: la virtù sempre punita, il vizio sempre premiato...

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