Io ricordo

Ho 40 anni, lavoro nel sociale, precario come tanti, troppi.
Dopo l'esperienza nell'estrema sinistra non volevo più partecipare a presidi, cortei, assemblee, manco mi sarei pensato a tenere un blog. Ma c'era un discorso sospeso, pieno di punti oscuri, dal '93, quando era esplosa la bomba al Pac, in via Palestro a Milano: era difficile mettere a fuoco il motivo. Dopo la deflagrazione ero sul posto, ricordo fiamme, confusione e la visione devastante che mi colse all'improvviso, quando scorsi qualcosa di incerto, in mezzo ai rami di un albero: erano resti umani, era un pezzo di qualcuno. Pochi giorni dopo i centri sociali scesero in piazza ma si tennero distanti dal corteo ufficiale, senza imboccare via Palestro ma si guardava verso il Pac, come verso qualcosa di imperscrutabile, cercando di afferrare il senso di tanta brutalità. Ancora una bomba a colpire innocenti, ma non era più tempo di strategia della tensione. O forse sì. Attualizzata. Negli anni si comprese che quello era un fax della mafia. Contro il 41bis, in piena trattativa tra stato e Cosa Nostra. E oggi...
Oggi il perseverare del malaffare ha gettato il paese in un baratro di disperazione. Casa, lavoro, ambiente, cultura, salute, servizi sociali, scuola, socialità, tutto è in secondo piano rispetto a interessi privati. Uno slogan dei centri sociali denunciava la "mafia dei partiti". Ma mi addolorava vedere che non c'era nessun cambiamento, cioè rivoluzione, intorno a me. Mi affliggevo quando, al Leoncavallo, ero in mezzo a figli di consoli, stilisti, gioiellieri, industriali: che cavolo avevo da spartire con loro? Modaioli, che via via son ritornati - infatti - tutti in un percorso semplice, strade spianate, dove non è dramma sopravvivere. Da tempo però ho ritrovato libertà di dissentire, di dire la mia, di cercare di fare qualcosa insieme ad altri resistenti, su questo treno senza freni che è il nostro sciagurato paese, in balia di mafiosi e politici collusi. Come trovo ricco di senso lavorare nel "sociale", così non me la sento di stare alla finestra a guardare questa ondata di morte collettiva. Perciò il blog lambisce ossessivamente il discorso antimafioso. E' il riflesso del rispetto del coraggio di persone come Giulio Cavalli, Benny Calasanzio, Salvatore Borsellino, Antonella Mascali, Daniele Luttazzi... Percorsi e anime eterogenee, com'è giusto che sia, ma con un amore sincero per un dignitoso vivere in comune, nel ricordo di chi ha pagato duramente per aver lottato contro la mafia.
Rostagno intervista Borsellino
Come Mauro Rostagno: aperta la comunità terapeutica Saman vicino a Trapani, per il recupero di tossicodipendenti, alcuni li aveva coinvolti a lavorare nella tv locale Radio Tele Cine, per mezzo della quale denunciava l'intreccio politico-mafioso. Aveva contattato Falcone per rivelargli qualcosa che aveva scoperto (un traffico d'armi che era riuscito a filmare, qualcosa in cui c'entravano il Psi di Craxi e, anni dopo, l'assassinio Alpi); Mauro conosceva e aveva intervistato Borsellino, per il quale provava rispetto. Fu proprio il giudice tra i primi ad arrivare a Saman la sera dopo l'omicidio di Rostagno. Entrambi sapevano dello spaccio quale linfa per la mafia e soprattutto della potenza nefasta del matrimonio tra macrocriminalità e politica, anche per via massonica; perciò mafiosi, agenti dei servizi segreti e politici collusi avrebbero dovuto rubare qualcosa ad ambedue, dopo averli trucidati: una videocassetta nel caso del sociologo torinese, la nota agenda rossa in quello del giudice palermitano. Erano le prove contro qualcuno di potente. Ma bastava solo il loro impegno per condannarli a morte da Riina e dai boss che approvarono la morte di Rostagno, colpevole di aver attaccato Cosa Nostra e di aver ritrovato quella commistione tra stato, servizi segreti, massoneria e mafia che analogamente fu oggetto delle indagini di Borsellino. Rostagno faceva nomi e cognomi e aveva uno stile giocoso ma lucido, molto simile a quello di Impastato: Peppino usava la radio, Mauro la televisione. Si erano conosciuti e fatto molto lavoro politico insieme, in Lotta continua. Ecco quindi il filo rosso che chiarisce che il nemico è sempre lo stesso, che nuoce alla collettività intera e noi... noi, non abbiamo, ancora una volta, che da perdere le catene che ci opprimono.

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