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Vito Taccone

 Venerdì 5 maggio verrà inaugurato il monumento dedicato a Vito Taccone, ad Avezzano. Saranno presenti Moser, Cassani e Garzelli. In realtà, la statua esisteva già e si trovava sul vicino Monte Salviano, ma dopo essere stata vandalizzata diverse volte, fu fatta a pezzi e persino trafugata, per poi venire ritrovata e dimenticata custodita nel sotterraneo del Municipio. Di recente, grazie all'interessamento di cittadini riuniti nel "Comitato di piazza Cavour" e dello stesso Moser, la statua è stata restaurata dallo scultore che l'aveva creata.
La storia di Vito Taccone meriterebbe un film, e già è uscito un libro sul "Camoscio d'Abruzzo". Di umili origini, aveva iniziato a lavorare come garzone di panificio e, proprio facendo le consegne in bici, si era appassionato alle due ruote, per poi riuscire a correre e entrare nel professionismo a 21 anni, nel 1961. Vinse alcune tappe del Giro, essendo uno scalatore puro. Nel 1968 arrivò quinto al Mondiale ad Imola.
Esuberante, goliardico, Taccone non le mandava a dire. All'epoca ci si pestava in bici e pare che Vito, in cima alle scalate, ci andasse pesante a castigare i rivali con la pompa di gonfiaggio (altri tempi, oggi ci sono le Ammiraglie a portare ruote e bici di scorta...).
Il camoscio d'Abruzzo si divertiva, aveva soldi ma ne macinava anche, tra alterne fortune. Creò dalla ricetta di un frate l'amaro che prende il suo nome, Taccone, e che pare sia de-li-zio-so. Si diede all'abbigliamento sportivo, fornendo le divise al Milan, ma proprio nell'ambito del vestiario ebbe alcune delle grane giudiziarie che caratterizzarono la sua vita. Ma non era un criminale e infatti i reati non erano mai gravi, lui era uno sanguigno e anche poco... pantofolaio.
Molti se lo ricordano, folgorante, al processo alla Tappa di Zavoli, che lo voleva sempre con sé per la sua schiettezza coraggiosa e le colorite e divertenti espressioni dialettali.
La biografia di Vito è costellata di tanti aneddoti, tra cui quello delle fave. Taccone era di compagnia, ai bei tempi in cui il bar era la tua chiesa e, una sera, tra un bicchiere e l'altro propone agli amici di andare a rubare le fave nel campo di un contadino. Il gruppetto si coalizza e furtivamente, strisciando nei campi manco fossero in Vietnam - perché si sa, dall'Alpi a Scilla i contadini sparano se gli sottrai il frutto del loro duro lavoro - si appropria di un bel po' di chili del gustoso legume. Tornati al bar, bevono e pasteggiano col "maltolto". La sera dopo, Vito rilancia per andare a rubare di nuovo le fave. Stavolta gli amici sono recalcitranti, il contadino se ne sarà ben accorto e starà all'erta. Ma lui insiste e così il commando, invero un po' spaventatino, torna a trafugare le fave. Al bar, gli amici si dicono fortunati, dopo aver provato una bella "caga", al che Vito prende a ridere, e a ridere e alla fine ammette che loro non hanno rubato nulla, infatti lui aveva comprato il raccolto proprio da quel contadino!
Vito tornerà, stavolta in centro, ad abbellire la sua Avezzano. Intanto, il comitato sta per battersi di nuovo: vogliono far togliere un distributore di carburante abbandonato, proprio da piazza Cavour, dove Vito guarderà tutti coi suoi occhi affilati e vispi.

"Grazie a Taccone ho avuto modo di conoscere Avezzano e l'Abruzzo. Non ci ho mai corso insieme, i miei fratelli erano in squadra con lui e per questo ho avuto modo di conoscerlo. Ho bei ricordi di Avezzano, di quando Vito organizzava la Gran Fondo, venivo giù da lui e partecipavo. Mi faceva vedere dove produceva il suo amaro, dove aveva i suoi animali, una terra unica della quale andava orgoglioso. Ricordo l'affetto che la gente di Avezzano aveva per lui. Purtroppo ci ha lasciato troppo presto".
Francesco Moser