8 per 1000 laico

Riguardo alla distribuzione dei fondi dell'8 per mille, la Chiesa cattolica è in condizione di privilegio, ricevendo circa il 90% di questa parte del gettito Irpef, mentre allo Stato va meno del 10% (e forse almeno questo è un bene, visto che nel 2004 il governo ha usato parte dei fondi per finanziare la missione militare italiana in Iraq, Antica Babilonia). Alle altre confessioni, riconosciute per legge (su cui fa pressione e ricatto il Vaticano, ostacolando quella musulmana e i Testimoni di Geova), vanno le briciole, compresa la Chiesa Valdese. Che però è l'unica che non si autoalimenta: non finanzia i ministri di culto, né il proprio patrimonio ideologico o materiale, ma destina tutto al promuovere cultura, pace, diritti umani, sanità e lavoro, assistendo anziani, bambini, giovani, persone in disagio sociale, rifugiati, migranti e nomadi, in Italia e all'estero, dove promuove sviluppo sociale e attività produttive (specie agricole) oltre che salute e diritti umani. Il tutto è rendicontato minuziosamente (a differenza di altre confessioni e dello Stato stesso). Nell'aprile 2005 la RAI rifiutò di trasmettere "per motivi di ordine deontologico" uno spot della Chiesa valdese dal titolo "Molte scuole, nessuna chiesa", con il quale essa intendeva sottolineare, in polemica con la Chiesa cattolica, come i fondi ottenuti dall'8 per mille non sarebbero stati utilizzati a fini confessionali o pastorali, ma solo per progetti di solidarietà e assistenza.
I valdesi ricevono quasi il 2% dell'8 per mille. Però sono la prima confessione dopo i cattolici e aumentano i contribuenti che la scelgono, i quali, secondo una ricerca Eurisko del 2010 , hanno un titolo di studio medio-alto, spesso sono cattolici o non credenti e approvano l'impegno dei valdesi per l’accoglienza degli immigrati, per la laicità dello Stato e per l'apertura nei confronti degli omosessuali. Tra i tanti progetti finanziati, la distribuzione gratuita di profilattici in Africa, programmi di ricerca nel campo delle cellule staminali e persino il "cinemainstrada".

Festa dello sfruttamento

E' appena finito il primo maggio, definito ormai non festa dei lavoratori ma del lavoro, vale a dire dello sfruttamento
Nel 1990 un film girato a Napoli, "C'è posto per tutti", tratta di temi ben diversi dall'omonima pellicola di hollywood. Il lavoro di Giacomo Planta è molto acuto e, forse, il primo sulla condizione di precariato, i giovani del sud la vivevano già prima che venisse sancita per legge e imposta a tutto il paese. "C'è posto per tutti" racconta le peripezie di alcuni giovani disoccupati napoletani che troveranno lavoro solo il primo maggio, proprio per smontare il palco del comizio sindacale.
C'è chi, come il nostro dittatore (ormai prossimo alla caduta per mano del suo stesso entourage, altro che la sinistra) ama chiamare la legge sul precariato "legge Biagi". Ma quelle sciagurate misure furono già adottate sotto Prodi col noto "pacchetto Treu", che introdusse il lavoro interinale, abrogando così la sacrosanta legge che lo proibiva, la n. 1369 del 1960 ("Divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro"). La "Biagi", la legge 30 (firmatario l'allora ministro del Lavoro, l'ominicchio dal morso facile Maroni) ha solo dato la stura finale ai diritti dei lavoratori, trasformando il co.co.co in co.pro (sempre merda), ribattezzando il lavoro interinale in "somministrazione di lavoro" (come fosse un antibiotico), introducendo il modello di schiavismo delle cooperative come regola sotto nomi pittoreschi, autorizzando infine le agenzie di sfruttamento a potersi occupare anche di personale assistenziale e sanitario. E questo forse è il male minore, e cioè che una giovane laureata, dietro al tavolo di uno di questi negozietti tristissimi, si ritrovi a dover assumere un medico, un assistente sociale o un ausiliario, senza sapere nulla di medicina e di assistenza; piuttosto, la gravità sta nella correità dei sindacati con i Responsabili della miseria che viviamo. Così, l'unione sindacale esiste solo sul palco di San Giovanni; il primo maggio diventa in quel concerto una fricchettonata, mentre in altre situazioni giunge ai livelli del rave (il May-Day). In entrambe le "feste" proprio chi monta il palco, luci e impianti, o chi guida gli inquinantissimi tir al may-day, viene stipendiato. Festa del lavoro, dunque. E dei sindacati, che ormai non hanno più ruoli maxime nella vita di chi ha da 40 anni in giù. La Fiom, nella sua purezza, sembra addirittura dover lottare con la casa-madre, la Cgil. Il sindacalismo di base invece si scioglie nel protagonismo di sigle, capetti e residuati vari. Un po' come se i congiurati che devono accoltellare Cesare finissero col mancarlo e colpirsi a vicenda.
Sono sempre meno le categorie che possono scioperare. Quasi tutti gli stranieri, tutti noi precari, i giovani, noi non più giovani (praticamente, tre lavoratori su quattro), non abbiamo più diritti. Niente malattia, niente sciopero, la 626 (o legge 81) solo sulla carta, la pensione fantascienza, il precariato eletto a condizione esistenziale. Con buona pace dei sindacati e della politica progressista, che hanno scavato la fossa ai lavoratori, a partire dall'abolizione della compianta "scala mobile".
Quando negli anni '90 iniziai a barcamenarmi tra co.co.co, cooperative, nero e poi  da interinale, pensavo che tutto ciò sarebbe stato provvisorio, che prima o poi avrei avuto un lavoro stabile, che mi sarei potuto trovare una casetta. Chi parla di bamboccioni meriterebbe di lavorare in un call-center per 10 ore di fila al giorno. Anche chi ha un lavoro stabile rischia la precarietà, vedendone agitato lo spettro nei ricatti padronali e negli incubi personali: qualche bella idea alla boia Marchionne, il pirletta di turno - alla Tvemonti - la tira sempre fuori...
Il potere dovrebbe finirla con l'invocare le Brigate Rosse: anche se molti le sognano, siamo tutti troppo presi ad arrangiarci, a sopravvivere. Le Br sono morte e nessuno potrà più riesumarle, mentre ben altri terrorismi prosperano (servizi segreti, mafia, politici piccciotti...)
Molti a sinistra storsero il naso quando qualcuno cominciò a protestare salendo su un tetto, dimenticando che quella era stata la forma di lotta tipica degli "invisibili", cioè dei carcerati. Ma era il modo di dire che si è sospinti al suicidio dalle istituzioni, che tagliano fondi, non fanno politiche sociali, premiano il crimine organizzato e, mentre declamano la virtuosità del proprio operato, lasciano il treno del paese andare a schiantarsi contro un frecciarossa. Il futuro è già morto e forse soltanto una lotta continua, dura e senza ipocrisie potrà salvarci. Anche se ho la sensazione che aveva visto bene Sade: la virtù sempre punita, il vizio sempre premiato...