Cinesi a Milano

Lezione di Kung Fu in un cortile milanese
Da mesi Google Maps definisce Chinatown la zona di Paolo Sarpi. Anche se i cinesi preferiscono continuare a chiamarla "Paolo Sarpi",  certo è un piccolo segnale di riconoscimento per una comunità che esiste a Milano dagli anni '30, quando, tornati dalla guerra i lavoratori francesi, le maestranze che li avevano sostituiti cercarono fortuna verso Est (cioè verso casa). I primi cinesi a Milano facevano gli ambulanti. 
Un gesto distensivo non era arrivato invece da Pisapia, come mostrava il video de "Il Fatto" sulla commemorazione dei cinesi trucidati a Roma. Peggio aveva fatto De Corato, sguinzagliando vigili e polizia in Paolo Sarpi nel 2007. Di tutta questa miopia si potrebbe fare a meno.
I cinesi vanno a scuola - alcuni fino all'Università e, giunti anche alla quinta generazione, perdono lentamente quella chiusura tradizionale che li caratterizzava. Nell'ultimo decennio le loro attività commerciali, in quartieri soprattutto popolari, hanno costituito dei veri servizi di prossimità, dove la socialità è interculturale. Bar, ristoranti, botteghe elettroniche, parrucchieri, mercatini, sono luoghi di scambio di comunicazione che va oltre il mero commercio. Senza contare che i negozi aperti la sera, nelle nostre periferie, aumentano la sicurezza della città.
I contanti con i quali vengono aperti gli esercizi commerciali - e che alimentano discussioni infinite - derivano prevalentemente da prestiti tra familiari; spesso le nozze servono a racimolare denaro, grazie ai doni, e alleanze, il che antropologicamente è stato un classico in molte culture.
Forse la più grande paura che destano in noi i cinesi è quella di far meglio: il senso del dovere, del lavoro, del servizio, come quello della famiglia, sono in loro fortissimi. Non a caso aumentano le coppie miste dove, spesso, la partner è una donna cinese.
I cinesi, come altri immigrati, ringiovaniscono il tessuto sociale (1 cinese su 4 è minore) e condividono le nostre vicissitudini. Per questo la povertà tocca anche loro: si parla di un centinaio di senza dimora cinesi, che gravitano per lo più in Garibaldi, assistiti dalla comunità Sant'Egidio. E se ormai si è affacciata la prostituzione anche tra i cinesi (stradale, in centri massaggi e appartamenti) diretta a tutti, il motivo principe è proprio l'impoverimento e il venire meno della rete-paracadute dei legami familiari. Ne guadagna la mafia cinese, che sì, c'è e opera soprattutto nel campo dell'immigrazione clandestina e della contraffazione, ma i livelli non sono quelli delle mafie nostrane, con cui pure è instaurata una certa collaborazione (soprattutto con la camorra). Le gang giovanili invece vivono esclusivamente nei circuiti tra cinesi, per cui cinesi sono i negozi taglieggiati, i cui proventi servono a spacciare ketamina ed ecstasy, ma sempre a cinesi. Questo è un aspetto di chiusura ancora molto forte, però, anche qui, non all'altezza dello spaccio internazionale di 'ndrine e narcos. E sarebbe da investire per spezzare questo mondo nascosto, ma figurarsi, i soldi per progetti sociali sono fantascienza.
A settembre qualcuno si è stupito che dei cittadini cinesi manifestassero per delle isole rivendicate dalla loro nazione. A me sorprende che qualcuno dimentichi che si tratta, appunto, di persone, di cittadini, calati in un paese dove avremmo ancora dei diritti, tra cui quello di manifestare, appunto...

E un augurio di benvenuto e di buona vita alla piccola Valentina Xiao Ya ^_^

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