Senza advocacy

Mentre questo anno così disperato si avvia finalmente a crepare, c'è un sassolino nella scarpa di un assistente sociale. Proprio all'indomani del primo, sciagurato lockdown, l'Ordine Nazionale approvava il nuovo codice deontologico, le regole etiche che guidano la professione. 
Advocacy vuol dire patrocinio, sostegno e indica le azioni volte a promuovere... una buona causa, vale a dire orientare l'opinione comune e di conseguenza indirizzare le politiche pubbliche. Bene, fino al vecchio codice deontologico c'era un articolo, numerato col 37.
"L’assistente sociale ha il dovere di porre all’attenzione delle istituzioni che ne hanno la responsabilità e della stessa opinione pubblica situazioni di deprivazione e gravi stati di disagio non sufficientemente tutelati, o di iniquità e ineguaglianza."
Bello potente, eh? Rivoluzionario, condivisibile, eroico. Anche troppo. E così è sparito. Guarda un po', proprio all'inizio del calvario che sta precipitando un sacco di persone nella povertà e che non ha ancora raggiunto il suo climax. 
Ho cercato di credere nella mia professione. E difenderla, spiegarla. Viverla. Ma facevo fatica e ora che è scomparso questo fondamento di anelito alla giustizia sociale, mi sento derubato. Non dalla tassa annuale, non da formatori appioppati a riempire ore, crediti, per un aggiornamento obbligatorio che avevo imparato ad apprezzare, nemmeno da colleghi che lavorando nel "pubblico" sembrano trattare noi del terzo settore come dei paria - e un po' lo siamo, purtroppo. Ma mi sento raggirato da chi, derubricando l'advocacy a lavoro di rete, (importante, certo ma...) ci ha detto "Non è roba nostra, lasciamo perdere". 
E, brutalmente, con un glissando sulla professione come colui che molli qualcuno ad un qualsiasi svincolo, mi sento talmente raggirato e pentito da rimpiangere i trasporti in furgone in giro per l'Europa, con la caffeina, la musica e il viso di una donna da rivedere al ritorno, che fosse una ragazza vera o il mio adorato, moribondo paese.

Piano Gelido

 Qualche giorno fa la newsletter del Comune ha annunciato baldanzosa l'avvio del Piano Freddo. Il 26 Novembre. L'anno scorso invece il PF era iniziato il 17 novembre.
Ai tempi di Majorino, duole rammentarlo, si partiva verso il 15 ottobre, all'accensione dei caloriferi, data che Sala l'anno scorso aveva definito insensata per il riscaldamento, perché non farebbe freddo.
A Milano non fa freddo. A Milano non c'è la mafia. A Milano i soldi per i dormitori si trovano quando ormai nevica, mentre già da settembre associazioni di settore (ed anche questo blog) chiedevano di aprire i rifugi per le persone senza casa.
Non è che Majorino fosse un genio nel suo lavoro, ma Rabaiotti, con la sua amara inconsistenza, lo fa davvero rimpiangere - e mai ci si sarebbe sognati accadesse.
Iniziare il 15 ottobre significava fare un lavoro lento, ottimale. Magari si presentavano e venivano accolte, tra le altre, le persone più fragili. Si evitavano così le bolge di questi giorni al Centro Aiuto e la conseguenza di dover rimandare indietro diverse persone per mancanza di posti. Letti che non bastano, perché, anche qui, come col virus, si gioca coi numeri, sciorinati sul sito del Comune. Sì perché arrivare a 2000 posti letto significa includere i già mille e più assegnati stabilmente. E se per letti intendiamo poi le brandine del mezzanino, be', provasse a dormirci una notte, l'assessore!
Rabaiotti mente quando parla di stabilità dell'accoglienza e accompagnamento sociale perché con l'arrivo del caldo buona parte dei dormitori vengono chiusi o ridotti. Come è accaduto a giugno, dopo il primo "lockdown".
A fine articolo si parla di due servizi che sono in realtà lo stesso, dato che le segnalazioni dei cittadini inviate al numero 02.88447646 sono le stesse poi evase dalle varie unità di strada serali. Segnalazioni non di rado fatte da milanesi benpensanti che sognano l'arrivo di veri spazzini dell'umanità. A proposito, la morte del senza casa settantenne davanti al Fatebenefratelli, ad opera di due mezzi Amsa, è significativa. Una tragedia, ma a Milano una persona può essere tranquillamente trattata come... un rifiuto. Umano.