Il virus e tutto quel che comporta rubano ancora la scena per cui altre notizie rimangono come dentro la nebbia. Così passa inosservata la morte, poche ore fa, di Angelo Licheri, il più noto tra tutti quelli che si calarono nel pozzo di via Vermicino, a Frascati, nel tentativo di salvare il piccolo Alfredo Rampi, prossimo a compiere sei anni. Un triste fatto accaduto quattro decenni fa.

Con Licheri scompare un testimone importante di quell'aberrazione mediatica che divenne un tragico circo. Diretta a reti unificate per 18 ore, la nascita della tv del dolore. Quello che Licheri avrebbe potuto ammettere, anche se ormai malato e povero, era la verità su quella lunga fettuccia che fu ritrovata sul corpo del bimbo. Sia lui che altri, come gli speleologi, rivendicarono di averla messa loro per agganciare il piccolo. Ma se tutti dicono di averla posizionata, chi mente? Inoltre, la fettuccia fu rinvenuta sotto la maglietta. Visti tutti i tentativi fatti per agganciarlo, invano, con manette, lacci, persino una tavoletta, tra buio, fango, asperità e strettezza del cunicolo, com'era possibile che il bimbo avesse "una fettuccia di quelle per trasportare gli zaini, divisa in due segmenti, con un anello metallico molto robusto"?
Non è piacevole riandare a quei giorni. Certo, salvare un bambino commuove. Il non riuscirci, demolisce.
Ma vista anche la posizione che aveva Alfredino, era legittimo pensare che quella imbracatura fosse servita a calare deliberatamente il bimbo nel pozzo. Di questo era convinto il pm Armati ma le prove che raccolse non furono giudicate sufficienti.
Eppure diversi elementi restano oscuri.
Alfredo viene lasciato solo e dopo 40 minuti ci si preoccupa non vedendolo tornare a casa. Altri 30 minuti e lo si inizia a cercare: perché mezz'ora? Dopo un'ulteriore ora, finalmente la famiglia chiama la Polizia. Strano no?
Alla nonna del bambino viene in mente per prima l'idea del pozzo, come
luogo in cui potrebbe essere finito il piccolo, al momento considerato
disperso. Ma l'apertura viene trovata coperta da una lamiera bloccata
con dei sassi. Solo un brigadiere di Polizia, Giorgio Serranti, non si convince e decide di
ispezionare il pozzo lo stesso e sente Alfredo lamentarsi.
La macchina dei soccorsi è goffa, mentre alla fine arrivano ben diecimila curiosi sul posto, buoni solo per intralciare le già farraginose operazioni di salvataggio.
Viene ignorata la geologa che avverte che il terreno è duro da bucare, ma si decide lo stesso di scavare un cunicolo parallelo. Le diverse perforatrici all'opera, quando non si rompono, creano vibrazioni che fanno precipitare Alfredo di altri trenta metri.
Licheri non aveva quella imbracatura, lo si vede nelle immagini quando si appresta a scendere.
La posizione del corpo rende ancora meno credibile il fatto che qualcuno dei soccorritori avesse potuto metterla al ventre del piccolo.
Proprio in quei giorni si scoprono le prime liste di appartenenti alla loggia segreta P2. Allora, Alfredo non poteva servire a depistare? Anche perché, a detta degli operai che la misero, la lastra non fu posta dopo ma prima che il bambino finisse nel pozzo. Una lastra di ferro, pesante, che solo due operai possono muovere, coprendola in più con grossi sassi e due travi di legno.
Alfredo aveva una ferita in testa: perché?
Il piccolo era anche malato di cuore, dopo l'estate avrebbe dovuto subire un intervento molto rischioso, con poche speranze di sopravvivenza.
Il sacrificio di Alfredino fece sì che si portasse a termine la nascita della Protezione Civile. Ma purtroppo, in Italia, tutto, anche le cose più semplici, sembrano scritte da Machiavelli...
"Sfondate la porta e entrate nella stanza buia!"
Alfredo Rampi.
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